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Re Artù si nasconde tra i miei scaffali

Le prime tracce scritte giunte fino a noi nelle quali compare il nome di Artù, pare risalgano al IX secolo quando un chierico gallese chiamato Nennius, compilò l’Historia Brittonum un compendio delle vicende d’Inghilterra che descrive ciò che accadde a quelle latitudini nel periodo che va dal ritiro delle legioni romane, fino all'epoca contraddistinta dai tentativi di invasione dell’isola da parte delle popolazioni sassoni. In questo manoscritto, Artù viene introdotto e identificato non come re ma come un Dux Bellorum, ossia un condottiero militare. Ecco il passaggio tradotto secondo schemi linguistici moderni: «A quei tempi Artù combatteva contro di loro [i sassoni] insieme ai re dei Britanni, ma era lui il comandante supremo…». È oggi abbastanza accreditata l'ipotesi che possa effettivamente essere esistito un signore della guerra chiamato Arthur Pendragon emerso, rispetto ad altri condottieri Britanni della sua epoca, grazie al suo estremo valore e ai risultati conseguiti contro i sassoni. I suoi meriti potrebbero avergli fatto conseguire l'appellativo di King Arthur.

Dopo il IX secolo (ma forse anche prima) altri si sono cimentati nella scrittura delle gesta e leggende ascrivibili alla più ampia mitologia arturiana. È però solo negli anni '30/'40 del XII secolo che le vicende di Artù, Merlino, Ginevra, Lancillotto e i Cavalieri della Tavola Rotonda, vengono assorbite e aggregate in un unico manoscritto destinato a lasciare una traccia indelebile nella storia inglese. In quegli anni, dopo un lungo lavoro di ricerca e reinterpretazione di antiche fonti e leggende, lo studioso e uomo di chiesa Geoffrey of Monmouth compone l'Historia Regum Britanniae.

Questo miscuglio di fatti storici pesantemente influenzati dalla fervida fantasia dell'autore, riscuote immediatamente un sorprendente successo. Molteplici sono infatti le copie del manoscritto che vengono commissionate un po' ovunque. Ampia è la parallela diffusione orale dell'opera grazie a menestrelli, bardi e artisti di strada. Nella storia della letteratura inglese, l'Historia Regum Britanniae è giustamente considerata il primo best seller. Il suo impatto sul più ampio processo di stratificazione del ciclo bretone è tale che le leggende arturiane vengono suddivise in pre-galfridiane, ad indicare quelle diffuse prima della comparsa dell'opera di Geoffrey di Monmouth e in post-galfridiane, cioè quelle storie prodotte successivamente e pesantemente influenzate dal testo di Geoffrey.

Qualche anno fa, rintracciai una copia dell'Historia Regum Britanniae stampata agli inizi del '900 (rarissime e molto costose sono le edizioni a stampa più antiche). Era ancora ben messa e adesso si erge nobile e fiera tra altri libri della mia collezione.

Per gli amanti del latino, in basso riporto il passaggio nel quale Geoffrey of Monmouth descrive il momento della designazione di Arturus come nuovo sovrano a seguito della morte per avvelenamento di suo padre Uther.

L'onda lunga dell'Historia Regum Britanniae (così come quella dei manoscritti di Chrétien de Troyes, altro grande esponente dell'epica bretone-arturiana) raggiunse anche il Mediterraneo e le coste italiche. Una panoramica sulle gesta e sulla caduta di Artù è contenuta nel libro ottavo del De casibus virorum illustrium, opera del 1373 nella quale Boccaccio ripercorre la vita di 56 uomini celebri vissuti dall'inizio della storia dell'umanità fino al XIV secolo.

Seppur fondamentali nel plurisecolare processo di costituzione della materia di Bretagna, non sono però i due preziosissimi manoscritti citati in precedenza ad influenzare pesantemente l'immaginario collettivo moderno. Un ruolo centrale, in tal senso, lo gioca soprattutto l'affresco arturiano creato dall'inglese Thomas Malory verso la metà del '400. Il ciclo di otto romanzi diversi, racchiusi sotto il titolo di Le Morte d'Arthur, è il risultato della volontà più o meno consapevole dell'autore, di descrivere indirettamente la cavalleria del XV secolo. E allora un po' meno spazio ai dilemmi d'onore e all'amore, per lasciarne di più all'azione e alle gesta eroiche. Così come nelle saghe fantasy moderne, tra le pagine di Le Morte d'Arthur si respira l'avventura, si percepisce il frastuono degli zoccoli dei cavalli mossi ad intercettare il nemico, si sente il cozzare metallico delle armi contro gli scudi e le armature. Il tutto rinunciando a parte di quel senso del meraviglioso ben più presente negli antichi manoscritti da cui tutto è partito.

Se, pensando ad Artù e ai suoi cavalieri, li immaginiamo protetti da scintillanti armature mentre si muovono tra i corridoi e le sale di castelli dalle alte ed inespugnabili torri merlate, siamo caduti in un falso storico. Le gesta di re Artù, laddove fossero realmente accadute, risalgono infatti a tempi ben più remoti. Ormai tutti gli studi concordano che una figura assimilabile a quella di Artù possa essere esistita a cavallo tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C., all'interno di un contesto ben più primitivo e selvaggio di quello narrato da Malory. Come scritto più sopra, quelli erano tempi bui durante i quali l'isola d'oltremanica, divenuta da tempo ex provincia romana, era costretta a difendersi dalle continue scorrerie dei sassoni che bramavano da tempo le verdi terre di Britannia.

Il manoscritto di Thomas Malory ci ha quindi tramandato una leggenda arturiana filtrata secondo i costumi e gli schemi sociali e culturali di un'Inghilterra esistita circa mille anni dopo quei fatti. Ma ormai il dado era tratto. L'enorme diffusione editoriale di Le Morte d'Arthur, dovuta soprattutto alla pubblicazione nel 1816 di un'edizione economica alla portata di tutti, ha contribuito a plasmare la cultura Occidentale fino ai giorni nostri. Per questo motivo, tra i miei scaffali campeggiano meritatamente anche due vecchie e sdrucite edizioni inglesi di Le Morte d'Arthur.

L'opera di Malory è certamente il testo arturiano più popolare e per questo fonte d'ispirazione principale per molti scrittori, pittori, scultori, musicisti, sceneggiatori, registi, scenografi e costumisti vissuti in epoche più recenti. C'è un'altra cosa, forse la più importante: quasi tutti concordano sul fatto che le pagine di Le Morte d'Arthur rappresentano la transizione dal romanzo medievale al romanzo moderno.

Come avrete ormai intuito, soggiogato da un ammaliante incantesimo forse scagliatomi contro dalla sfuggente Morgana, ho pian piano iniziato a cercare libri che contenessero tracce di quelle leggende nate sulle ceneri dell'antica tradizione celtica. Romanzi e saghe del Novecento certo, ma anche libri con qualche secolo di vita alle spalle come ad esempio le antiche cronache dei sovrani d'Inghilterra.

In esse si possono facilmente scovare passaggi dedicati ad Artù, così come a suo padre Uther Pendragon il cui appellativo viene spiegato dai racconti più antichi. Alla vigilia di un'importante battaglia, Uther scorge una cometa che si staglia in cielo a formare un profilo di drago. Quella visione viene interpretata da Merlino come presagio di un glorioso futuro per il forte e valoroso guerriero. Ma come divenne padre di Artù il caparbio e possente Uther? Sul punto, centrale in tutta la leggenda arturiana, consiglio di guardare l'indimenticabile scena d'apertura ideata da Boorman per il già citato Excalibur. Se vi siete incuriositi e non volete aspettare, a svelare l'arcano ci penserà qualche rigo più avanti l'esimio Sir Richard Baker.

Tra le cronache inglesi che fanno parte della mia piccola collezione, c'è un in-folio stampato nel 1665 che si intitola A chronicle of the Kings of England. Lo acquistai in Inghilterra e, se non ricordo male, fu il primo in-folio ad entrare - faticosamente, vista la sua altezza - tra i miei scaffali. Si tratta di una cronaca medievale abbastanza nota e frutto del lavoro di ricerca dello storico Sir Richard Baker. In quella che è la sua opera più conosciuta, Baker narra le principali vicende che riguardano i regnanti vissuti in Terra d'Albione dall'epoca dell'occupazione romana fino alla morte di Re Giacomo I avvenuta nel 1625. Come da tradizione, tutto è ricoperto da una discreta spolverata di fantasia e va decisamente preso con le molle.

Nel primo capitolo intitolato Of the first knowne times of this Island, c'è un passaggio interamente dedicato ad Artù: «...nell'anno 515. Dopo di lui [Uther Pendragon] successe suo figlio Artù, generato dalla bella Lady Igren, moglie del duca di Cornovaglia, al cui letto l'arte di Merlino lo portò a somiglianza di suo marito; e ecco che in dodici battaglie sconfisse i Sassoni; in una delle più memorabili battendosi con la sua spada chiamata Callibourne, volò sui suoi Nemici, e con la sua stessa mano ne uccise ottocento; che non è che una delle sue opere meravigliose, di cui se ne riportano così tante, che potrebbe ben essere annoverato tra i Favolosi. Tra gli altri suoi atti, istituì l'Ordine dei Cavalieri della Tavola Rotonda, affidando la protezione del Regno a menti eroiche e meritevoli. Questo gran Principe, con tutto il suo grande valore, fu infine ferito in una battaglia a seguito della quale morì nell'anno 542, dopo aver regnato sei e venti anni.». In questo libro, così come negli antichi manoscritti e resoconti a stampa, Artù viene descritto come una sorta di superuomo dotato di capacità belliche straordinarie grazie alle quali sbaraglia le forze nemiche.

Del 1695 è invece Prince Arthur an heroick poem, un altro in-folio che catturò la mia attenzione proprio perché completamente dedicato alle gesta di Artù. Trattandosi di un poema, quella scritta da Richard Blackmore è un'opera impregnata fino al midollo di fantasia, nonché la scusa, per il suo autore, per celebrare indirettamente re Guglielmo III di cui era medico personale.

Il poema prende il via con Artù che fa ritorno in Inghilterra per rivendicare il suo trono dopo aver saputo del rovesciamento di suo padre Uther da parte dei sassoni. Tra i versi di Blackmore più volte osserviamo Lucifero tentare di ostacolare il raggiungimento dell'obiettivo da parte del giovane e valoroso principe.

Ma torniamo a libri nei quali la fantasia fa un timido passo indietro per lasciare maggior spazio alla storiografia. Ripartiamo da un libro dal formato più ridotto dei precedenti. Il titolo di questo in-16° è The ancient and present state of England being a compendious history of all its monarchs from the time of Julius Caesar. La storia di come è entrato nella mia collezione merita qualche rigo.

Il volume in questione, è stato per una ventina di anni sugli scaffali di un distinto signore inglese emigrato tempo fa in Australia. La sua collezione privata, nel momento di massima espansione, ha raggiunto la stratosferica cifra di 16.000 volumi. Dopo aver passato tre decenni tra canguri e koala, in anni recenti il tizio ha deciso di rientrare nel Regno Unito cominciando a sfoltire la sua enorme collezione di libri che, evidentemente, gli dava ben più di un grattacapo da un punto di vista dello spazio. Dopo una fugace parentesi passata tra gli scaffali di una libreria del Regno Unito, il volumetto è poi arrivato tra le braccia del sottoscritto. Come ho scritto tante volte altrove, molto spesso la cronistoria degli innumerevoli passaggi di mano dei libri antichi, è piena di aneddoti e di fascino. Tornando al volume, sfogliandolo ci si imbatte nella pagina n. 25 che il Dr. Howell, autore dell'opera, dedica in buona parte ad Artù e a suo padre.

Proseguiamo con The History of England, scritto nei primi anni del Settecento dal nobile e storico Rapin de Thoyras, è il risultato di un incredibile quantità di materiale che l'autore ha accumulato e lungamente studiato nel corso della sua vita. Si tratta di una cronaca dei fatti inglesi talmente corposa da dover essere riportata su sei enormi volumi dal peso complessivo di circa 20 Kg. Finemente rilegati in pelle e costellati da quasi 200 splendide incisioni a piena pagina, ancora oggi i sei tomi si presentano completi e in perfette condizioni. Li scovai qualche anno fa. Se ne stavano a prendere polvere tra i mobili, i quadri e le mille cianfrusaglie di un antiquario toscano. Fu subito amore. Vista la loro mole e il loro peso, non ho potuto collocarli in una libreria.

Il primo dei sei volumi Rapin de Thoyras lo dedica a un resoconto che va dal tempo degli antichi britanni fino alla conquista normanna. Tra queste pagine ci si imbatte in diverse tracce di Artù e della sua leggenda.

Qui ne riporto solo una nascosta tra le righe di una tavola cronologica dedicata ai sovrani della prima era. Come si vede, le vicende di Artù vengono collocate a cavallo tra la fine del V e l'inizio del VI secolo d.C. al tempo in cui, come detto, le terre di Britannia, persa ormai da tempo la protezione delle legioni romane, divengono preda delle mire sassoni.

Piccola curiosità: riferendosi al mastodontico lavoro storiografico svolto da Rapin de Thoyras, Voltaire scrisse "...si avvicina alla perfezione richiesta da queste opere". Non me la sento di dargli torto, anche perché farei uno sgarbo all'autore. I quasi venti anni che lo storico dedicò alla stesura della sua monumentale opera, minarono gravemente e definitivamente la sua salute.

Mentre preparavo questo scritto, sfogliando un saggio del 1865 interamente dedicato alle tradizioni e alle leggende che ruotano intorno alla figura di Merlino, mi sono imbattuto in un passaggio che mi piace riproporre qui allorché ci avviciniamo alla fine di questo viaggio:

«Nessun uomo può avere grande influenza sui posteri se non l'ebbe veramente all'epoca in cui visse; e nessuno mai ottenne l'onore d'essere celebrato con favole se non fu prima argomento di storia di una certa importanza.».

Potrei proporvi altri passaggi estratti da alcuni libri, editi nell'Ottocento e nel secolo scorso, che fanno capolino dai miei scaffali. Preferisco non dilungarmi. Credo di aver già scritto abbastanza abusando fin troppo dell'attenzione di chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui con la lettura.

Probabilmente non avremo mai certezze su Artù, Lancillotto e sulla miriade di personaggi che affollano il ciclo arturiano. È plausibile che il personaggio tramandatoci dal medioevo sia in gran parte una figura letteraria dai connotati epici e romantici nella quale riecheggiano le tradizioni mitologiche della Britannia celtica. Per quanto mi riguarda, trovo che restare in questo perenne limbo d'incertezza renda tutto magico e doni ancor più forza a quanto riportato da sir Thomas Malory che, descrivendo la tomba del defunto re nelle ultime pagine di Le Morte d'Arthur, ci dice che sulla pietra vennero scolpite le seguenti parole:


«HIC IACET ARTHURUS REX QUONDAM REXQUE FUTURUS»

«QUI GIACE ARTU', RE UNA VOLTA E RE IN ETERNO»



FINE


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