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Meno di zero di Bret Eston Ellis

Ovvero la storia di Clay e dei suoi amici giovani, carini e drogati nell'America di metà anni ’80. Nel decennio della piena euforia edonistica (non che quello attuale sia tanto diverso), Ellis fu probabilmente il più bravo di tutti a raccontare, con uno stile che ancora oggi continua a meravigliare e a disturbare, i desideri strampalati e lo sfacciato smarrimento di ragazzi abbronzati e spesso annoiati, che vagavano in quel luogo di perdizione che era la west coast californiana. Una vita, quella della Mtv Generation, che passava tra champagne e anoressia, Jacuzzi e cocaina, auto decappottabili e promiscuità sessuale.

Rileggere questo breve romanzo e pensare che sia stato scritto da un ragazzo ventunenne capace, per forma e contenuto, di risultarmi ancora oggi più fresco di un bel po’ di scrittori under 35, mi lascia senza parole e, a dirla tutta, pieno di invidia. Ma ormai la giovinezza è, ahimè, passata da un pezzo. Troppo tardi uomo.

Attenzione però a prendere sottogamba l’asciutto minimalismo narrativo che contraddistingue quest’opera e che, in parte, ricorda lo stile di Hemingway. Vi fareste colpire facilmente nello stomaco da un pugno che vi lascerebbe inebetiti e senza fiato per un bel pezzo. Perché quelli narrati in questo libro, non erano tempi per innocenti. La strada verso il distaccato minimalismo sanguinario di American Psycho era ormai tracciata. Ma quella è un’altra storia.





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