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Venerdì o il limbo del Pacifico di Michel Tournier

Ovvero la rivisitazione in chiave moderna del Robinson Crusoe di Daniel Defoe.

Scritto un centinaio di anni dopo l’originale, il Crusoe di Tournier è un uomo alle prese con il suo dramma personale e interiore.

Come nel capostipite, è l’unico sopravvissuto al naufragio della sua nave che viene scagliata dalla furia di un temporale contro gli scogli di una piccola isola al largo del Cile.

Messo di fronte alla sconcertante realtà, Robinson si impone, ed è qui la novità rispetto al Crusoe di Defoe, di non abbandonare le sue radici umane e, conseguentemente, si adopera per trasformare la natura tropicale dell'isola in una sorta di città giardino ispirata alle normali regole sociali ed urbanistiche delle moderne città occidentali.

Dove il Robinson di Defoe era concreto ed interessato esclusivamente alla sua sopravvivenza, quello di Tournier appare più strutturato, analitico, critico e razionale, intraprendendo un percorso che lo renderà una sorta di sovrano e amministratore unico dell'isola su cui il destino lo ha fatto naufragare.

Tuttavia, andando avanti con la lettura, una trovata dello scrittore francese, di cui ovviamente mi astengo dal parlavi, scompiglierà totalmente il piano attentamente e razionalmente costruito dal protagonista.

Tale intuizione narrativa costringerà Robinson a mettere in discussione le sue certezze, portandolo verso la completa regressione allo stato "naturale" e ad arrendersi, anch’egli, ad un'esistenza autentica e primitiva.

Leggendolo, ho assistito alla vittoria della vita selvaggia sulla società.

Al primitivo che soverchia il moderno.

Questo splendido romanzo non si limita quindi a far naufragare un uomo.

E’ il naufragio di tutti i principali simboli, miti e sicurezze della moderna cultura occidentale.




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