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Shakespeare against racism

Durante i primi vagiti di questo nuovo millennio, l’Italia e l’Occidente sono spesso attraversati da un rigurgito verso gli “altri”, qualcosa che a ondate sempre più frequenti si infrange sulle poche certezze della società civile. A questo fenomeno si aggiunge anche l'ormai dilagante revisionismo culturale che ultimamente prende di mira quasi tutto quello che rappresenta il passato, il classico.

Nella grande rete a strascico gettata dal peschereccio revisionista si è impigliata anche l'opera di William Shakespeare demonizzata da alcuni o quantomeno ridimensionata nella sua portata e nel suo valore. A detta di questi balordi in cerca di notorietà mediatica, gli scritti del drammaturgo inglese sarebbero infarciti di razzismo, antisemitismo, misoginia, classismo e omofobia. I più energici sostenitori di queste tesi strampalate paiono essere paradossalmente proprio alcuni esponenti del mondo anglosassone, culla del Bardo.

Pur chiedendomi come sia possibile giudicare un uomo morto nel 1616 guardandolo con lenti griffate terzo millennio, ho tentato, ho provato a mettere in discussione il pensiero e le opere di quello che per alcuni, molti, è stato il più grande uomo di penna mai vissuto.

A dire il vero, non ho molto da raccontare. Il fatto è che appena ho riaperto per l'ennesima volta le immortali pagine scritte da Shakespeare arrivate fino a noi soprattutto grazie al First Folio - straordinario e coraggioso progetto editoriale di recupero, aggregazione e conservazione letteraria - sono immediatamente andato a sbattere contro una verità inconfutabile: mettere in difficoltà quei testi è pressoché impossibile. L'ardito che ci prova, cozza subito contro una scrittura granitica, magistrale e universale che è capace di suonare sempre fresca e pronta a resistere a qualsiasi tentativo di essere picconata alle fondamenta.

Un esempio? Tralascio volutamente l'Otello la cui narrazione che ruota intorno ad un protagonista di colore, mette ripetutamente alla prova i classici canoni iconici occidentali per i quali, normalmente, il bianco sta ad indicare purezza e il nero viene accostato al male. Parliamo invece de Il mercante di Venezia, dramma scritto al tramonto del '500 che vede al centro delle vicende il cinico mercante ebreo Shylock. Da anni c'è chi accusa quest'opera di chiaro antisemitismo. L'inglese decise di ambientare la sua storia in una città, la potente Venezia, all'interno della quale nel XVI secolo esisteva realmente un ghetto. In quel perimetro gli ebrei erano costretti a risiedere sotto la minaccia delle lance impugnate dalle guardie cristiane poste a controllo dell'area. La scelta del contesto che fa da sfondo a quest'opera a metà tra la commedia e la tragedia, ha quindi influenzato il profilo e la psicologia dei personaggi, nonché l'intera narrazione. Nulla di strano. Sono innumerevoli i casi simili nella letteratura d'ogni tempo.

Nell’Inghilterra di Shakespeare le cose non andavano molto diversamente da oggi. L'altro, quello che arrivava da oltre confine portando con sé costumi e usanze diverse, era visto come una potenziale minaccia, qualcuno da cui era meglio tenersi lontano, qualcuno che poteva accaparrarsi ciò che era degli inglesi per diritto territoriale di nascita. Nella Venezia dell'epoca, i primi sulla black list erano proprio gli ebrei.

Nella città lagunare, così come nell'Inghilterra di Shakespeare, agli appartenenti al popolo ebraico erano interdette molte occasioni lavorative, così come l'accesso alle grandi corporazioni. I regni cristiani dell'epoca, precludevano agli ebrei anche la possibilità di possedere terreni agricoli o ricoprire ruoli politici. Ovvio che in un quadro del genere l'usura costituisse una delle poche occasioni per tirare avanti.

Scorrendo il testo della commedia, emerge chiaramente che i difetti e le colpe dell'usuraio ebreo Shylock, universalmente riconosciuto come uno dei migliori personaggi creati da Shakespeare, non sono rappresentativi di una razza, bensì di un uomo solo, discriminato e perseguitato. Checché ne dicano i moderni detrattori del Bardo, il magnifico testo che vide la luce oltre quattro secoli fa è disseminato di passaggi che tentano di scardinare il pregiudizio, il più celebre dei quali è certamente quello che apre l'Atto Terzo:

"Mi ha disprezzato e deriso un milione di volte; ha riso delle mie perdite, ha disprezzato i miei guadagni e deriso la mia nazione, reso freddi i miei amici, infuocato i miei nemici. E qual è il motivo? Sono un ebreo. Ma un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, misure, sensi, affetti, passioni, non mangia lo stesso cibo, non viene ferito con le stesse armi, non è soggetto agli stessi disastri, non guarisce allo stesso modo, non sente caldo o freddo nelle stesse estati e inverni allo stesso modo di un cristiano? Se ci ferite noi non sanguiniamo? Se ci solleticate, noi non ridiamo? Se ci avvelenate noi non moriamo? E se ci fate un torto, non ci vendicheremo? Se noi siamo come voi in tutto vi assomiglieremo anche in questo. Se un ebreo fa un torto ad un cristiano, qual è la sua umiltà? Vendetta. La cattiveria che tu mi insegni io la metterò in pratica; e sarà duro ma eseguirò meglio le vostre istruzioni.”

Quanto sono vere, dirompenti e contemporanee queste parole? Basterebbe sostituire il termine "ebreo" con quello indicante qualsiasi razza, religione o orientamento sessuale, per rendere questo passaggio de Il mercante di Venezia un manifesto universale contro ogni forma di discriminazione. Le pagine di Shakespeare non sono pensate per i bianchi. Il First Folio, monumentale e preziosissima raccolta delle opere del drammaturgo, è come un prisma che attraversato dalla luce la scompone in una moltitudine di colori. L'opera shakespeariana è un poliedro attraverso il quale possiamo filtrare e osservare le mille sfumature dell'umano. Tutto dipende dalla nostra volontà, dalla nostra apertura mentale e dai mezzi cognitivi che abbiamo a disposizione. Questa verità è ben più sfidante, oscura e minacciosa per qualcuno. A ben guardare, essa emerge in modo vibrante ed piena di potenziale utile al cambiamento delle società moderne. C'è poco da fare, possiamo chiudere con Shakespeare, ma Shakespeare non chiuderà mai con noi.




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