Lascio il marciapiede e mi avvio lungo il molo. Fa un freddo fastidioso anche se il vento non è molto forte. L’aria è salata. Il cielo da qualche ora si fa sempre più grigio. Ci sono nuvole ammassate, una su l’altra. Sembrano muoversi come dentro una scatola troppo piccola. Non so perché questo posto. Ma è meglio di un altro oggi. La mia vita se ne ride di tutto questo. Non ha niente di tutto questo. Si trascina. E io m’incazzo.
Allora passeggio per le vie di un porto qualsiasi. Mi avvicino ai pescherecci attraccati e quando nessuno mi vede, nascondo la malinconia dentro le reti. Con un sorriso la saluto e mi sento più leggero. Ma tornando indietro passo davanti ad altri piccoli pescherecci. Mi fermo.
Lei è lì che mi aspetta. Guarda il mare e lentamente si volta. Mi viene incontro. Si avvicina e poggia la testa sulla mia spalla. Sembra tremendamente stanca e infreddolita, ma non se ne cura. È attenta a rimanermi vicino. Poi alza la testa e mi attraversa gli occhi. È la malinconia che ho lasciato sulle coste della Normandia.
Sono passati alcuni anni ma il mare l’ha trascinata qui. E mi ha ritrovato. E come allora la stringo fra le braccia. Passeggiamo in silenzio e arriviamo alla scogliera. La saluto con una carezza che sa di orgoglio, miseria, di dolore così pungente da immobilizzarti la schiena. Allora mi accorgo che il mare è un mare bastardo. Pure lui. Pure io. Come ogni sguardo che incontro. Che mi chiede aiuto. La delicata gentilezza della disperazione.
Autore: Bató
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