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Letture atomiche

Nei primi anni dell'800, Francisco Goya dipinse El Coloso, uno dei quadri più inquietanti, enigmatici e magnetici della storia dell'arte. Nella parte bassa del quadro osserviamo persone e animali fuggire in preda al terrore. Sembrano scappare da un pericolo che percepiamo come incombente e letale. Inizialmente, la causa di questo frenetico turbinio di corpi può apparire ignota. Almeno così sembra.

Alzando un po' lo sguardo si scorge una figura immensa, un essere colossale e furioso con occhi iniettati di sangue e pugni chiusi. Come i terribili omologhi disegnati dal fumettista Hajime Isayama, il gigante di Goya terrorizza gli uomini. Il pittore spagnolo lo ha scelto per rappresentare metaforicamente il potere e la guerra. Adeguandolo ai tempi moderni, l'immane profilo del colosso possa essere visto come metafora della minaccia nucleare. Il gigante che si staglia all'orizzonte equiparato al fungo di gas e polveri incandescenti che viene generato da un'esplosione atomica. Questa lettura del messaggio sotteso al dipinto, rende El Coloso attuale, attualissimo.

La prossima uscita di Oppenheimer (in Italia il 23 agosto) ultima, attesissima fatica cinematografica di Christopher Nolan, sommata alla sciagurata decisione di Putin di ammassare testate nucleari ai confini d'Europa, nelle ultime settimane ha reso l'olocausto nucleare un tema molto caldo. Sembra quasi di essere ritornati agli anni della Guerra Fredda, ai tempi di Dr. Stranamore, The Day After, Wargames, Threads, Alba rossa o Una tomba per le lucciole.

Le preoccupazioni per le terribili conseguenze di un conflitto atomico, risalgono agli anni '40 del secolo scorso e sono certo che il film di Nolan le rappresenterà al meglio. Celeberrima la considerazione di un affranto Einstein all'indomani delle stragi di Hiroshima e Nagasaki "Non ho idea di quali armi serviranno per combattere la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e con le pietre. In ogni caso, se lo avessi saputo, avrei fatto l'orologiaio".

Pochi anni dopo la fine del secondo conflitto mondiale, la saggistica e la narrativa cominciano ad interessarsi parecchio all'atomica producendo, in alcuni casi, vere e proprie pietre miliari. Dato che l'elenco sarebbe abbastanza lungo, visto l'avvicinarsi dell'anniversario di Hiroshima (6 agosto 1945), mi limito a segnalarvi solo La pioggia nera di Ibuse Masuji. La cronaca di Masuji è un pugno nello stomaco sferrato per preservare la memoria delle atrocità di cui è capace l'Uomo.

Il possibile tracollo dell'umanità paradossalmente causato dall'aver raggiunto nuovi incredibili traguardi nella fisica e nella tecnologia, è quindi presente nella letteratura da molto tempo.

Ho pensato di cavalcare l'onda di questa nuova "febbre atomica", mettendo da parte le produzioni internazionali in favore di quelle che considero quattro letture italiane imprescindibili. Ve le propongo di seguito in ordine temporale.


Nel 1965 Elsa Morante fu protagonista di due conferenze tra Torino e Roma. Quelli erano anni nei quali forte era la sua preoccupazione per il destino dello scrittore nei "tempi atomici”. Il saggio che assorbe le due conferenze espone chiaramente i pensieri della Morante al riguardo: “non è più il tempo, in letteratura, d’intrattenersi col sublime”.

Le dinamiche globali degli anni '50 e '60 avevano gettato ombre sul futuro, manifestando chiaramente l'occulta tendenza all'autodistruzione che caratterizza l'umanità. La scrittrice è convinta che le testate nucleari “...non sono la causa potenziale della disintegrazione, ma la manifestazione necessaria di questo disastro, già attivo nella coscienza” dell'Uomo.

Come rispondere a tutto questo? La Morante ha le idee chiare. Con ciò che è opposto alla disintegrazione: l'arte.


Corporale di Paolo Volponi

Il professore Girolamo Aspri è un moderno Ulisse che, sulla sua carta geografica, ha cerchiato con il colore rosso la ricerca della sua identità all'interno della società. Società che, seguendo a testa bassa logiche sempre più massificanti e tese all'iperproduttività e all'iperconsumo, tende ad annullare l'Uomo.

Romanzo pubblicato nel 1974, quello di Volponi è un percorso di ricerca interiore portato su carta. Corporale è anomalo per scrittura e modalità di trattazione delle tematiche. Quella affrontata dal suo protagonista è una moderna Odissea con, sullo sfondo, la minaccia nucleare, presagio di un imminente disfacimento. Per sfuggire al disastro e trovare sé stesso Aspri si rifugia sugli Appennini. I personaggi del libro non hanno soluzioni da proporre"...posso dire senza essere originale ma nemmeno lontano dal vero, che appena l’uomo ha costruito la società ha contemporaneamente pensato di distruggerla tutta, tutta insieme, anch’egli dentro, un poco dentro e un poco fuori”.


Trilogia atomica di Carlo Cassola.

Il libro raccoglie tre racconti lunghi concettualmente collegati tra loro e narrati da tre punti di vista diversi. A fare da sfondo alle storie, originariamente pubblicate separatamente tra il 1978 e il 1982, c'è uno scenario radicalmente mutato in seguito all'esplosione di ordigni atomici sul territorio italiano.

Il primo racconto è uno spaccato crudo, e al tempo stesso poetico, di un mondo distrutto e offeso dall'uomo. La distruzione comincia un giorno di Ferragosto. Il secondo appare come un ibrido tra romanzo autobiografico e saggio. Il terzo riesce a rendere protagoniste della storia le cose più che gli uomini. Protagonista assoluta è la morte. Resta il vento ad essere la sola cosa a dare l'impressione di un mondo ancora vivo.

La scrittura pioneristica di Cassola non fu compresa. La sua narrazione post-distruttiva stonava con l'Italia dell'epoca. In fin dei conti erano gli anni che avevano aperto le porte all'edonismo e alla leggerezza che sarebbero ben presto confluiti nella Milano da bere. Epopea recentemente resuscitata e riunita in un unico corpus dalla Mondadori, Trilogia atomica rappresenta un'occasione ghiottissima da cogliere in questi tempi più consapevoli.


L'inverno nucleare Alberto Moravia.

Fortemente preoccupato da quanto stava accadendo nel mondo a cavallo tra gli anni '70 e '80, Moravia fu uno degli intellettuali più impegnati nella diffusione di un chiaro messaggio: la necessità di essere tutti consapevoli del possibile annientamento totale che aleggiava sui destini di miliardi di individui.

Raccolta di saggi e riflessioni sul tema nucleare, il volume edito nel 1986, propone spunti interessanti, previsioni più o meno azzeccate e passaggi folgoranti come questo incipit: "Carissimo, eccomi ad Hiroshima ed ecco l’ultima novità: non sono più quel tale individuo a nome Alberto Moravia, non sono più italiano, europeo, ma soltanto membro della specie. E per giunta membro di una specie destinata, a quanto pare, ad estinguersi al più presto”.

Fermamente convinto che la minaccia di una guerra nucleare fosse una conseguenza logica e naturale della nostra civiltà, Moravia era però anche certo che la ricerca di un antidoto fosse possibile.

“L’umanità ha saputo creare il tabù dell’incesto; perché non potrebbe domani creare quello dell’omicidio organizzato e collettivo?” e ancora “Bisogna rifarsi allo spirito di Norimberga almeno per quanto riguarda le armi nucleari, ammettere francamente che l’arma nucleare è e non può non essere un’arma nazista e condannarla e proibirla ‘fuori’ della politica. In realtà si tratta di estirpare lo spirito suicida del nazismo una volta per tutte”.

Chiudo questa breve carrellata atomica citando proprio Robert Oppenheimer fisico a capo del Progetto Manhattan. Tempo dopo aver effettuato con successo il test Trinity attraverso il quale venne fatta esplodere la prima bomba atomica, egli affermò "Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, il Baghavad-Gita. Vishnu tenta di convincere il Principe che dovrebbe compiere il suo dovere e per impressionarlo assume la sua forma dalle molteplici braccia e dice, "Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi". Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell'altro".



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