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Letture d'estate: "Le isole Aran" di J. M. Synge

Durante il 1896 l'irlandese William Butler Yeats soggiornò per un bel pezzo a Parigi. Un giorno venne a sapere della presenza in città di un giovane connazionale che, dopo aver abbondantemente vagabondato per mezza Europa, aveva scelto la Sorbona per studiare e apprendere le antiche lingue celtiche. Incuriosito, Yeats volle incontrarlo.

Il ventiquattrenne John Millington Synge non poteva immaginare che quell’incontro gli avrebbe cambiato per sempre la vita. Anni dopo, Yeats descriverà con queste parole il primo contatto con il ragazzo: “Aveva appena il minimo indispensabile per non fare la fame, e qualche volta la faceva. Era andato in giro per l’Europa, viaggiando in terza classe o a piedi, suonando il violino per i poveri, in strada o nelle loro stamberghe”.

All’epoca dei fatti, il trentunenne Yeats aveva già raggiunto una discreta fama di poeta e scrittore. Abituato ad essere sempre molto schietto, il futuro Premio Nobel per la letteratura comunicò al giovane che la sua produzione poetica non lo aveva esaltato più di tanto. Tuttavia in lui aveva intravisto qualcosa. Un potenziale d’immaginifico e poetico narratore. Per questo motivo gli diede un suggerimento: tornare alle origini, rientrare nell'Isola di Smeraldo.

Più precisamente, Yeats gli consigliò di trascorrere un po' di tempo nel lembo di terra più remoto d’Europa. “Lo esortai ad andare nelle isole Aran, a scoprire una vita che mai era stata espressa in forma letteraria, anziché una vita di cui era stato espresso tutto”, racconterà tempo dopo lo stesso Yeats.

Durante quell’incontro Yeats parve intuire che l’estrema sensibilità di Synge sarebbe stata capace di captare e tradurre su carta il fragore e la potenza evocativa di quelle lontane e selvagge terre eternamente vessate dai venti e dai flutti.

Vagabondo d'attitudine e uomo dall’animo sensibilissimo, per nostra fortuna Synge fece tesoro del consiglio ricevuto. Partì nel mese di maggio dell'anno successivo con il primario intento di imparare il gaelico, antica lingua di quelle genti che l'oceano e la nebbia celavano alla famelica brama colonizzatrice della modernità. Il gaelico, lingua che è un mondo quasi ai confini del mondo.

Alla fine delle sue ripetute sortite sulle isole Aran, Oileáin Árann in gaelico, da quei luoghi e dai cottages nei quali soggiornò e ascoltò mille storie, Synge rientrò portandosi dietro tanto altro: impressioni, suggestioni e antiche narrazioni di un popolo schivo e prigioniero di se stesso. Racconti tramandati per via orale davanti ad un susseguirsi infinito di fuochi scoppiettanti chiamati a confortare i corpi di pescatori e contadini quotidianamente braccati da vento, acqua e umidità.

Aprire il diario del giovane Synge è come porsi davanti ad un acquerello. Il suo è un incantevole affresco dedicato alla vita marinaresca e contadina delle isole. Con una serie di delicate pennellate, Synge ha fissato per sempre i suoi ricordi su una tela di carta.

Ricordi che, con la rapidità di una folata di vento, trasportano il lettore sulla sommità di una delle immani falesie verticali delle Aran. Come il Viandante sul mare di nebbia, stando a pochi passi dall'abisso, con l'oceano a ruggire cento metri più in basso e stormi di gabbiani a garrire nei cieli, chi legge Synge vive una moltitudine di potenti e pervasive emozioni.

Pubblicato per la prima volta nel 1907, questo diario è indiscutibilmente una delle più belle e armoniose cronache di viaggio del Novecento. La sua è poesia, è reazione di un'anima sensibile a contatto con un ambiente spesso ostile, ma capace di regalare paesaggi grandiosi così come storie di stenti e miserie i cui protagonisti sono uomini e donne condannati alla durezza della vita. Paesaggi e colori le cui trame sono state cucite da una natura primordiale, non ancora stuprata dal progresso e dalla civiltà.

Pioggia, vento, mare, scogliere, gaelico e antico folklore. Questi sono gli ingredienti principali delle indimenticabili pagine approdate in Italia nel 1980 grazie alla sempre attenta Sellerio.

Il volume da tempo è fuori catalogo. Per scovarlo ho dovuto scandagliare un po’ il mercato dell’usato, per poi pagarlo ben più di una delle tante nuova uscite esageratamente pompate da un mercato editoriale ormai ingolfato da una miriade di mediocri pubblicazioni. Con il senno di poi, lo rifarei altre mille volte.

Viaggiando tra i ricordi di Synge ho vissuto sulla mia pelle ciò che descrive la Mannoia quando canta l'Irlanda. Dalla prima alla terza parte del diario, ovunque io stessi viaggiando, il cielo delle Aran si muoveva con me. Il cielo delle Aran era dentro di me.

Il diario di Synge mi ha fatto compagnia nei caldi giorni di metà luglio, giorni nei quali l'infinito moto del mare ha trascinato sulle rive della mia vita nuove letture e inaspettate amicizie. Ai Duguet dedico questo mio scritto.


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