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F E N N E C

«Che cosa è un vero viaggio? Una follia che ci ossessioni, che ci porti nel mito; insomma una deriva, un delirio traversato dalla Storia,

dalla geografia, innaffiato di vodka, una sbandata alla maniera di Kerouac, qualcosa che a sera ci lasci senza fiato,

in lacrime, in riva a un fosso. E con la febbre».

Sylvain Tesson


***


È stato il vento a comunicarmi l’approssimarsi delle sabbie. Fortunatamente, ad accogliermi non ho trovato l’invalicabile muro di polvere incandescente alzato dal poderoso Simùn.

Osservo le dune dal margine esterno dell’erg. Da questa distanza ricordano i dorsi ricurvi di mille delfini scorti l’attimo prima di svanire sotto il pelo dell’acqua o le incessanti contrazioni muscolari di un essere dalle straordinarie dimensioni.

Lungo le antiche vie carovaniere, la possibilità di non predersi era legata esclusivamente alla capacità di saper leggere la posizione degli astri. Escludendo il Sole e le stelle, una volta dentro senza l’ausilio di una bussola perderei tutti i punti di riferimento in un attimo.

All’alba dei tempi, Dio ha creato la sabbia e con essa il deserto. Infine, con un possente soffio, le dune. Ma a quale scopo? Probabilmente per stupire e ingannare l’uomo. In uno dei suoi racconti, Borges narra che anticamente un re mesopotamico fu catturato dagli arabi e trascinato all’interno di un labirinto diverso da tutti gli altri. Niente pareti. Niente corridoi. Nessuna scala da salire. Alla vista del deserto il re rimase perplesso. Dove era il labirinto? Slegato e abbandonato tra le dune arabe, il sovrano non trovò mai l’uscita. Ignorava che Dedalo plasma in mille modi diversi ciò che crea.

Dopo aver attraversato il ghiaioso sarīr schivando rocce e pinnacoli cesellati dai venti, mi trovo finalmente al cospetto del grande vuoto primordiale.

Scendo dal cammello e tolgo il basto dalla sua groppa. Un vecchio proverbio arabo dice"Affida il tuo cammello alla provvidenza di Dio, ma legalo prima ad un albero". Nel punto in cui mi trovo alberi non ce ne sono. Alla maniera beduina lego un laccio corto ad ogni coppia di zampe, poi prendo la qirba fissata sul fianco dell’animale e bevo un po' d’acqua.

Mi dirigo verso la duna più vicina inerpicandomi lungo il suo morbido profilo. Sotto i miei piedi la sabbia è talmente fine e sfuggente da darmi l’impressione di ascendere il crinale di una ciclopica clessidra. Un sottile velo di polvere in sospensione, che a queste latitudini qualcuno ancora chiama shabbura, disturba leggermente la mia vista. Da un’altezza di circa venti metri, tutti i miei sensi percepiscono comunque l’immensità e il totale senso di smarrimento e isolamento che, di lì a poco, mi avvolgeranno. Immagino che quel viandante abbia provato emozioni simili contemplando un vasto orizzonte velato di nebbia standosene dritto sullo sperone roccioso.

Il vento è costante. Sfruttando la sua opera incessante, l’immane leviatano dalla pelle di polvere rocciosa muta continuamente forma rendendosi inafferrabile. Mare di sabbia è più di una metafora. Il dinamico moto ondoso delle dune è tangibile. Tra i flutti sabbiosi ciò che è oggi non sarà più domani.

Perso nei mei pensieri, quasi non mi accorgo che poco sotto la cima della duna posta di fronte a quella sulla quale mi trovo, la sabbia comincia leggermente a vorticare dando l’impressione di collassare. Sono due orecchie a sbucare per prime, poi il resto del corpo completamente ricoperto da una pelliccia color crema. È la prima volta che vedo un fennec. La minuscola volpe del deserto pare la più sorpresa tra i due. Dopotutto questa è casa sua. Mi fissa. Con la sua espressione sembra dirmi "Ti riconosco. Sei un ramingo, un nomade, proprio come me. Io vago nel deserto e tu per il mondo. C'è differenza tra noi?". Attraversato da una sorta di inerzia e di crescente perdita d'indentità, per un attimo mi immedesimo completamente in ciò che vedo.

L'incantesimo finisce quando l'animale si gira per poi trotterellare verso le sabbie interne. Il calare d'intensità della corrente mi riporta alla realtà. I raggi di luce che mi avvolgono cominciano lentamente a degradare verso il viola. Le colline di sabbia che si stagliano lungo tutto l'orizzonte, sembrano rispondere al bagliore crepuscolare spandendo un leggero riflesso tra l'ocra e il tabacco. Tutta questa vastità incommensurabile espande lo spazio, sfuma il tempo, costringe la mente a rifugiarsi nei suoi recessi più profondi. Ho le vertigini.

Intuisco che è in luoghi come questo che nascono le religioni. Quando si trova al cospetto dell'infinito, per non perdere la ragione l'uomo ha necessariamente bisogno di ancorare il tutto a qualcosa. Valicare i confini esterni del deserto è come varcare la soglia di una cattedrale. Attraversare le sabbie richiede il rispetto di un preciso rituale. Ascendere e discendere i crinali delle dune è come pregare. Oltre i cancelli che mi accingo ad oltrepassare, Dio ha la forma di una pozza d'acqua.

Ho come la sensazione che lo sconfinato e cieco oceano mi stia scrutando e voglia comunicare con me attraverso il vento, suo respiro e sua voce. Riesco a udire il suono. Come sirene, le dune mi sussurrano la loro ipnotica melodia. Aiutate dalla corrente, le loro malie si diffondono partendo dai morbidi fianchi di sabbia. Un leggero refolo trasporta fino alle mie orecchie il sottile rumore dei granelli rosa che fremono, si distaccano, rotolano. Sono tutti alla ricerca di un nuovo ma pur sempre transitorio equilibrio.

Penso di aver compreso. Ciò che ho davanti è vuoto e morto solo in apparenza. Il deserto è in realtà costituito da un’immensa, viva e caotica trama fatta di eventi e processi interconnessi tra loro. Ogni minuscolo frammento di roccia, ogni piccolissimo cristallo, si comporta in modo coordinato e sincronizzato con gli altri, quasi che ne fiutasse la presenza comportandosi di conseguenza. Qui come altrove, nulla avviene casualmente, tutto è tenuto insieme da fili invisibili. Esserne consapevole è probabilmente il modo migliore per comprendere e descrivere lo spettacolo che mi circonda. Adesso non c'è più alcuna distanza fisica o psichica a dividerci. Io e le sabbie siamo connessi. Sento che il cammino tra queste lande prive di confini contribuirà a mondare la mia anima.

Il respiro del deserto si fa nuovamente imperioso e comincia ad accanirsi sul mio volto. Minacciosi nembi di sabbia turbinano, crescono e si addensano all'orizzonte. Nei giorni che seguiranno mi toccherà spesso subire questo capriccioso susseguirsi di quiete e violenza. Come tutti gli altri ambienti estremi del pianeta, anche il deserto è volubile. C'è una domanda a cui non riesco a dare una risposta. Le montagne separano gli uomini. I mari li spronano ad incontrarsi. E i deserti?

Qualcuno, non ricordo chi, ha detto che questo non-luogo è come un quaderno dalle pagine bianche o una tela che attende il pennello. Nessun essere che lo attraversa può evitare di lasciare tracce di sé e della sua storia. Sento che è arrivato il momento di scrivere la mia.

Ho volutamente strappato la corda che mi legava alla civiltà, alle sue sicurezze, alle sue comodità e alle sue promesse. Inizialmente credevo che ad avermi spinto fosse stato solo il febbrile desiderio di ritrovare, nascosto tra le dune, un luogo la cui leggendaria esistenza è stata tramandata tra le pieghe del tempo. Ora mi rendo conto che c'è anche altro. L'inconscia speranza di scoprire cosa c'è al di là da me, la voglia di correre verso ciò che non è me.

Scivolo giù dalla duna, libero le zampe del méhari e rimonto sul suo dorso. Prima di seguire le impronte del fennec e affidare il mio destino alle sabbie, faccio come T. H. Lawrence. Aspiro a grandi boccate il vento del deserto. Vuoto, inerte, limpido.

Simùn: Possente vento caldo, secco e soffocante che spira nel Sahara e nel deserto arabico, portando con sé dense masse di sabbia che riducono grandemente la visibilità e mutano rapidamente la forma delle dune.

Erg: Area desertica costituita prevalentemente da distese sabbiose coperte da dune.

Sarīr: Distesa arida nella quale, l’azione di deflazione esercitata dal vento, ha rimosso dal suolo le particelle più fini, lasciando sul terreno quelle più grossolane, rappresentate prevalentemente da ghiaie e da altri frammenti di maggiori dimensioni.

Qirba: Otre di pelle utilizzata dalle tribù nomadi per il trasporto dell'acqua durante gli spostamenti in aree desertiche.

Shabbura: Velo di polvere in sospensione generato dall'effetto dei venti sulle dune di sabbia.

Méhari: Cammello da sella molto utilizzato nell’Africa settentrionale e centrale.



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