Cesare Cuscianna è un medico e psicologo dotato di un talento straordinario per la prosa e la poesia. Leggendolo emergono chiaramente le energie profuse verso un lavoro di ricerca maniacale della combinazione di parole perfetta. Quello che propongo di seguito è un suo breve scritto composto sul finire degli anni '90 all'epoca del conflitto in Kosovo. Qualche anno dopo, ciò che state per leggere confluì nella raccolta "Sheol. Tra la perduta gente... Ventisette poeti di fronte alla guerra". Trovo questo breve flusso di pensieri maledettamente bello, maledettamente profetico e maledettamente attuale.
La guerra non finirà
anzi la sento crescere,
rumoreggiare dai tombini.
Nelle rogge sotterranee delle strade
smaltire la marea chiassosa
fra il vuoto delle auto, nei fumi
la sua piaga penetra i costati
li scolora, vincendo lo stupore
li trascina oltre il baratro del suono,
nelle tenebre
così i genitori dell'odio restano ancora
qui, perché l'odio è figlio esigente
e vuole essere accudito a lungo
covato, come i semi delle piante
che maturano al buio, nel silenzio
e ama lo squittio dei ratti
il vellicare dei ragni, il fosforo delle muffe.
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