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La cerca (parte quinta)

Non sentivo più il sibilo. L’antico gigante si ergeva davanti a me scuro e silenzioso. Eravamo soli al centro di quel luogo primigenio talmente vasto da impedire all’occhio umano di scorgerne i confini. Dopo aver richiuso i ricordi del mio viaggio nel cassetto della memoria, tornai a guardare l’Albero. Cosa avrei dovuto fare a quel punto? Decisi di chiedere consiglio all’antico Guardiano. Mi voltai e, con immenso stupore, vidi che al suo posto si ergeva un monolito di pietra bianca. Il suo aspetto e le sue dimensioni erano perfettamente identici a quelli dell’altro blocco sbucato dal nulla pochi giorni prima nei pressi della cascata.

Ero tornato ad essere solo. Una foresta che pareva non avere fine mi circondava, avevo con me un cavallo ormai sfinito, pochi viveri e la fede, invisibile calce con la quale tenevo insieme il mio spirito e le mie membra spossate. Ma fino a quando questo sarebbe stato possibile? Decisi di avvicinarmi ulteriormente all’immensa pianta che mi sovrastava a tal punto da impedire quasi completamente il passaggio dei raggi del sole. Notai che la base di quel colossale vegetale era quasi completamente ricoperta di vischio. Il Guardiano mi aveva detto di non aver mai sentito nominare il Graal, né aveva accennato alla presenza di una coppa in questo luogo da lui sorvegliato. Cosa celava la foresta? Perché era così importante questa quercia? Perché quel sibilo mi aveva tormentato spronandomi a seguire la sua origine?

Ero in preda a mille dubbi. I dubbi di un uomo che aveva speso il fiore dei suoi anni nella ricerca dell’impossibile. Contrastai con tutte le forze le mie incertezze. Alzai il braccio destro e con la mano sfiorai la spessa corteccia che rivestiva l’immensa quercia. Viste da così vicino, le sue nodose pareti mi incutevano grande timore e rispetto. Provavo la sensazione di essere ai piedi del torrione più imponente e inespugnabile che la mente umana potesse immaginare.

Nulla accadde. Sentivo che la tristezza e lo sconforto avevano ripreso a strisciare in direzione del mio cuore. Poi la terra cominciò a tremare, questa volta violentemente. Il terrore si impossessò dei miei muscoli e, come muovendo fili invisibili, mi costrinse a fuggire allontanandomi dalla base della quercia. Pochi istanti dopo le vibrazioni diminuirono contribuendo ad allentare la paura che, come una ciclopica mano, mi stringeva forte a sé. Mi girai indietro e assistetti all’ennesimo prodigio.

L’immensa struttura dell’albero aveva cominciato pian piano a dare segni di vita. In preda ad una sorta di sogno, osservai la corteccia smuoversi e ondeggiare similmente alle squame di un drago che si contorce. Poi d’un tratto, l’immane movimento cessò. Anche il terreno tornò a fermarsi. Inizialmente non mi accorsi di nulla, poi il sibilo ritornò padrone delle mie orecchie guidando il mio sguardo verso una radice gigantesca che il terremoto doveva aver spinto in superficie.

Mi avvicinai accorgendomi che, nel punto di congiunzione tra la radice e l’immenso tronco, era incastrato un oggetto che certamente non era di natura vegetale. Mi fermai ad un paio di braccia di distanza per osservarlo meglio. Ciò che vedevo aveva una forma sottile e cilindrica. Sembrava essere di materiale metallico, probabilmente bronzo. Il manufatto ai miei piedi non era certamente una coppa, né tantomeno poteva contenerne una. Un velo di delusione attraversò il mio cuore senza però intaccare minimamente la curiosità che a quel punto era massima.

Prelevai il cilindro dalla nicchia vegetale che lo aveva custodito per chissà quante ere. Il suono nelle mie orecchie terminò. Mi accorsi subito che una delle due estremità dell’oggetto era avvitata sul resto della struttura. Con un po’ di forza riuscii a farla ruotare. Dopo un leggero scatto il pezzo si staccò. Lo lasciai cadere a terra. All’interno scorsi quella che era chiaramente una pergamena arrotolata su sé stessa. Le mie mani tremanti la estrassero lentamente dal guscio. Iniziai a srotolarla.

Simili al sole che sorge all’alba lungo la linea dell’orizzonte, vidi emergere le prime tracce di una scrittura a me ignota. Distolsi per un attimo lo sguardo. Iniziai a mettere in discussione alcune mie certezze. Forse quello che da noi uomini era conosciuto come Graal, non era mai stato una coppa. Magari storie e leggende stratificatesi lungo il corso dei secoli ne avevano distorto la vera natura. Tornai a guardare. Inspiegabilmente, la mia mente riusciva pian piano ad interpretare ciò che gli occhi stavano guardando. Vidi quei simboli oscuri fondersi tra loro, riappropriarsi dell’antica luce e andare a correggere le imprecisioni del mondo. Su quella pergamena era riportato il significato di tutte le cose che sono state, che sono e che saranno, così come tutte le cause e tutti gli effetti.

Essa mi rivelò, tra le altre cose, anche la risposta all’eterno quesito “Come sono il Paradiso e l’Inferno?”. La rivelazione fu fatale: l’Inferno è atroce e l’uomo vi accede ogni volta che non comprende di vivere nel Paradiso.

Ancora tremanti, le mie mani mortali stavano reggendo il filo che tiene insieme l’intera trama universale della quale vero enigma è il tempo, infinita sequenza del sempre e del mai. In quel momento capii che il mio viaggio periglioso era giunto al termine. La cerca si era conclusa. Io, Parsifal il puro, stavo leggendo la verità del Graal che non è sangue, ma parola vergata dalla mano di Dio.


"Chi cerca, non smetta di cercare finché non avrà trovato. Quando avrà trovato, si turberà. Quando sarà turbato, si meraviglierà e regnerà su tutte le cose."


(Vangelo secondo Tommaso)



FINE



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